Venezuela di sangue: una tragedia attraverso i social

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Che succede in Venezuela?

Mentre il resto del mondo rimane concentrato sulle vicende che negli ultimi mesi hanno scosso l’Ucraina, anche in America Latina la situazione è assai tesa. In Venezuela, infatti, si protesta da settimane contro il governo di Nicolás Maduro, eletto lo scorso aprile come successore politico di Hugo Chávez, e responsabile, secondo l’opposizione, di crimini violenti, violazioni dei diritti umani, alta inflazione, penuria di beni di prima necessità come latte e carta igienica, e forte repressione degli oppositori. Secondo i dati disponibili, l’inflazione in Venezuela ha abbondantemente superato il 50%, inoltre nel solo 2013 gli omicidi sono stati 23.763, in media uno ogni 20 minuti.

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I dati degli scontri

Gli studenti universitari che chiedono le dimissioni del Presidente, di certo non dotato del carisma che contraddiceva il suo predecessore, sono tornati a erigere barricate per le vie di Caracas, a cui la protesta, partita da San Cristobal, si è allargata: il bilancio degli scontri avvenuti dal 12 febbraio a oggi è salito ad almeno 15 morti e 150 feriti secondo le fonti governative . Le autorità, ha fatto sapere la procuratrice generale Luisa Ortega Diaz, hanno arrestato 579 persone, di cui 45, fra cui nove poliziotti e membri della Guardia nazionale, sono ancora in custodia.
Per le strade sfilano due cortei, esplicita immagine del Paese lacerato a metà, diviso fra chavisti, che chiedono al governo una risoluzione pacifica degli scontri, e oppositori, che protestano contro l’aumento del tasso di criminalità, l’inflazione e il collasso dell’economia venezuelana.

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Un Paese spaccato

Ma Maduro non ci sta, e accusa i manifestanti di colpo di Stato: “Questa non è una protesta. Il Venezuela sta affrontando un colpo di Stato di natura fascista“. Non risparmia neppure gli Stati Uniti, colpevoli, secondo lui, di appoggiare l’opposizione con l’obiettivo di effettuare un golpe per deporlo.

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Dopo aver ritirato i permessi di soggiorno a quattro giornalisti della CNN con l’accusa di non aver coperto gli eventi in modo obiettivo, appare evidente la strategia del presidente venezuelano, che punta a mettere un bavaglio il più rapidamente possibile a tutti quegli organi di informazione che potrebbero far precipitare la situazione a suo sfavore. Nel Paese ormai non esistono più reti televisive vicine all’opposizione e un canale allnews colombiano è stato oscurato. Come se non bastasse, l’Associated Press denuncia il mal funzionamento di Internet a San Cristobal e in altre aree della nazione.

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La protesta è online

Ma nell’era dei social network non è facile oscurarne i molteplici canali. I giovani venezuelani, come i loro coetanei arabi e ucraini prima di loro, si coordinano sulla rete, si informano sull’emittente colombiana Ntn24, si danno appuntamento su Pastebin, una bacheca virtuale su cui organizzano le loro manifestazioni, e finché non è stata oscurata, usavano Zello, una app per smartphone che li trasforma in walkie-talkie. Non solo. Dopo l’assassinio della ventitrenne Miss Turismo Genesis Carmona, uccisa da un proiettile mercoledì scorso mentre manifestava in piazza, anche le reginette di bellezza si sono unite su Twitter ed Instagram con l’hashtag #misses4peace.

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Alla campagna social per fermare le violenze hanno aderito, fra le molte, anche Gabriela Isler, Miss Universo 2013, ed Angel Monasterio, Miss Gay Venezuela. E non sono le sole ad essere diventate un fenomeno mediatico.

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La resistenza del generale Vivas

Anche il generale Ángel Vivas, accusato in tv da Maduro di aver fatto tendere dei cavi ad altezza uomo sulle strade di Caracas che avrebbero costato la vita ad un motociclista simpatizzante del governo, sta facendo il giro del mondo grazie a dei video girati durante il tentativo di arresto, che gli hanno fruttato il soprannome di ‘Rambo’.
All’arrivo dei soldati, Vivas, antico oppositore di Chávez, vestito con un giubbotto antiproiettile, stringeva fra le braccia un mitra urlando: “Non mi avrete sbirri, servi di Cuba” mentre su Twitter continuava a incitare alla rivolta contro un governo “di narcotrafficanti cubani e terroristi”. Anche se i soldati si sono ritirati, temendo il bagno si sangue, gli hanno staccato acqua, luce e gas sperando non resista.

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Ecco chi sono i leader della rivolta

Fra gli altri personaggi di spicco della rivolta, il leader oppositore Leopoldo López, che, dopo cinque giorni di latitanza, accusato di terrorismo ed omicidio, sabato si è fatto arrestare in piazza con un mazzo di fiori bianchi in mano. Laureato ad Harvard, sembra emergere come leader di punta anche grazie alla sua retorica appassionata: “Siamo dalla parte giusta della storia. Dalla parte della giustizia”, ha detto in un videomessaggio diffuso dopo il suo arresto, invitando tutti i venezuelani a continuare la campagna per forzare alle dimissioni Maduro.

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Una linea molto diversa da quella perseguita da Henrique Capriles, sfidante alle ultime elezioni politiche e di posizione certamente più moderata, il quale cerca da tempo di affiancare alle proteste un programma più specifico. Il risultato, sia sul piano pratico che progettuale, è molta incertezza e confusione, mal interpretata anche dalla stampa straniera nei giorni scorsi, che più volte ha descritto la rivolta come l’ennesimo confronto tra un governo filo-popolare dichiaratamente anti-americano e l’opposizione di una classe media impopolare e disorganizzata.

Nulla di meno vero, stando a sentire quanto scritto da Moisés Naím, ex ministro dell’Industria e del Commercio venezuelano, per due ragioni principali qui riassunte: Maduro vinse le ultime elezioni per l’1,5% dei voti, margine troppo ristretto per continuare a vedere in lui l’espressione della volontà popolare. Inoltre, questa opposizione che chiede a gran voce le sue dimissioni è largamente formata anche da quelle classe povera che egli dice di rappresentare.

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La conferenza di pace e le opinioni degli Esteri

Con un repentino cambio di rotta, Maduro ha convocato una “conferenza di pace” per mettere fine alle proteste sia da parte dell’opposizione che degli Stati Uniti, con cui cerca di riaprire un diplomatico dialogo, ma fin ora non sembra aver avuto molto successo. Il Presidente ha invitato la partecipazione di tutte le fazioni con l’obiettivo di sottoscrivere “un accordo per rinunciare alla violenza come metodo di azione politica”, ma l’iniziativa non è stata accettata dall’opposizione, la quale rinnova la propria posizione con un corteo silenzioso di donne in bianco che oggi attraverserà Caracas.

Da Washington la portavoce del Dipartimento di Stato Jen Psaki ha chiesto al governo venezuelano di dimostrare “una maggiore serietà” nelle sue prese di posizione, che in questo momento “rendono difficile ogni possibilità di dialogo”.
E’ intervenuta anche Catherine Ashton, Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri, la quale si dichiara “preoccupata per i disordini continui (…) per le vittime e per gli arresti di studenti ed esponenti politici – proseguendo con il condannare – l’intolleranza e l’uso della forza da tutte le parti in causa. Le libertà di espressione, associazione e riunione sono fondamentali e le autorità pubbliche devono garantire che tutti i cittadini possano esercitare liberamente questi diritti”.

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