Viaggio in Marocco, prima tappa: Marrakech #prima parte

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Parto, destinazione: Marocco

Andare in Marocco a dicembre è, modestia a parte, una delle cose migliori che mi poteva capitare in questo lungo, estenuante nonché passato 2013. Il periodo è fantastico perché non c’è il caldo afoso dell’estate –le temperature superano di gran lunga i 40°C all’ombra- ma il sole batte, caldo e l’aria fresca dell’Atlante scende giù dalla catena montuosa dritta verso Marrakech, che è la mia prima tappa.

Un caos ti circonda, lasciati trascinare

Il primo impatto è stato piuttosto traumatico. Per chi, come me, non ha mai fatto esperienza di paesi non-europeizzati il Marocco è uno dei primi step da superare, diciamo il più blando in confronto all’India o alla Thailandia, nella scaletta dei viaggi ”tosti”. Quello che sapevo prima sul Marocco erano i soliti luoghi comuni, quindi. Avevo raccimolato qualche informazione leggendo una guida generica prima che partisse l’aereo, dopo due ore di volo sapevo solo che lì si mangiavano nelle Tajine, che è una monarchia costituzionale (l’attuale sovrano è Mohammed VI, 50 anni, 2 figli, sposato con Lalla Salma) e che, in quanto turista donna, dovevo essere piuttosto accorta.

Impatto traumatico, dicevamo. Ma non quel traumatico che terrorizza, bensì un traumatico che pervade i sensi, ottunde e ti fa tornare a casa o, nel mio caso, nel Riad, saturo. Preciso che io alloggiavo nella Medina, il cuore pulsante di Marrakech, in un Riad delizioso che consiglio a tutti: Le Coq Berbère. Quando metti piede in strada entri nel caos, un via vai di motorini, carretti, pedoni frettolosi e ragazzetti che corrono ti circonda, fumi di padelle, griglie e pentoloni che bollono riempiendo la via di profumi densi. Se qualcuno avesse ripreso la mia espressione mentre mi aggiravo per i souq (che è il nome con il quale si designano i tipici mercati marocchini) mi avrebbe paragonata ad un astronauta novellino che per la prima volta vede la Terra dall’alto : totale stupore.

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Il piatto forte di Marrakech: I souq

I souq di Marrakech sono dei piccoli capolavori. Matasse di pelli variopinte pronte per essere lavorate, spezie di ogni colore esposte ordinatamente in allegri bidoni verde acqua, pantofole di cammello disposte in file ordinate, e ancora una marea di frutta, verdura, datteri, mandarini. Ogni oggetto è fatto a mano, uno per uno. I tappeti colorati scendono dalle pareti delle vie, se ti affacci in uno dei negozi di tappezzeria puoi scorgere montagne di stoffe sgargianti.

Le terrecotte sono decorate con motivi fantastici, le sedie lavorate in ferro battuto sono appese sopra l’ingresso dei negozi nel souq del ferro. Lampade colorate, vetri e specchi adornano ogni angolo.

Le vie non sono mai spoglie. Hanno sempre un pizzico di decorazione. Qui sembra che ogni cosa sia bella.

Le false guide

Girando per le vie dei souq della Medina, i primi giorni bisogna rassegnarsi al perpetuo senso di spaesamento: sono un vero labirinto. I turisti che arrivano a Marrakech per la prima volta sono facilmente individuabili dato che si aggirano come gatti in trappola, frenetici con cartine alla mano e occhi smarriti cercando qualche indizio per le vie.

Forse anche io sembravo uno di quelli, ma poco importa, la prima cosa che ho imparato è che bisogna lasciarsi trascinare dal flusso, camminare senza una meta e cercare, prima di tutto, di ambientarsi. Questi turisti un po’ in crisi sono facili prede di chi ha capito come fare del disorientamento altrui un vero business: le false guide.

La Medina ne è piena zeppa, ad ogni angolo ci sono uomini che ti dicono ”Di qua! Di qua per Jemaa el Fna!”, non hai nemmeno il tempo di capire cosa succeda che ti vedi seguire questo sconosciuto a primo acchito tanto affabile. Ho visto frotte di tedeschi trotterellare dietro a questi giovanotti come i pulcini con la chioccia. Non c’è nulla di male, ci sono cascata anche io il primo giorno, ma quando ti chiedono soldi per averti fatto da guida la musica cambia e tu non sei più tanto contento.

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La teatralità di Jemaa el Fna

Jemaa el Fna (جامع الفنا) è la piazza principale di Marrakech, i poetici la definiscono “il proscenio dove va in scena la vita”, l’Unesco l’ha proclamata “Capolavoro del Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità”, altri ancora la elevano a “Simbolo del Marocco”.

La piazza pullula di ogni sorta di saltimbanco, addestratore di scimmie, incantatori di serpenti e dentisti improvvisati. Jemaa el Fna sembra in effetti un grande teatro vivente, in cui ogni cosa ogni giorno è un affare. E di notte diventa un enorme ristorante all’aperto. I banchetti di frutta e arance fanno posto a cucine e tavoli dove puoi sederti e ordinare ad esempio un’ harira, la zuppa marocchina, o un fritto (che sconsiglio, una sardina poco fresca potrebbe farvi passare notti insonni). Un palcoscenico brulicante di vita che però nel nome porta un segno mortifero: Jemaa el Fna significa infatti “raduno dei morti”. Intorno al 1050, i condannati venivano portati in questo luogo per essere decapitati e le loro teste venivano lasciate in mostra come memento per gli altri.

Abbiamo dunque camminato virtualmente dai souq a Est della Medina alla piazza principale, diamogli le spalle e procediamo verso la moschea della Koutoubia, che spicca in alto grazie ai suoi 70 metri di minareto. Ne parleremo nel prossimo articolo.

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