La Siria, un popolo, un prezzo inaccettabile da pagare

Damasco è una delle città più antiche del mondo. La città è rimasta immutata dalla fine della guerra fredda, quando Mosca proteggeva e finanziava il regime. La forma di governo è a carattere familiare ereditaria con l’attuale presidente Bashar Al Asad, nominato al potere dal 1994 per il partito baath.

Dal 2000 ha consentito un accesso limitato ad internet e imprigionato giornalisti e dissidenti facendo ricorso alla tortura delegata alla polizia segreta, che consente al partito baath di mantenere il potere dal 1963. Nel marzo 2011, sulla scia delle rivolte arabe, i siriani hanno rotto un lungo silenzio manifestando in maniera massiccia al fine di spingere il presidente ad adottare le riforme necessarie per dare allo stato un’ impronta democratica.

Oggi è in atto una brutale repressione da parte del governo che non è estesa soltanto alle rivolte in strada. Infatti oltre agli elicotteri che aprono il fuoco sulla folla che manifesta, sono all’ordine del giorno rastrellamenti nei quartieri controllati dagli insorti. Mentre Amnesty International denuncia che gli arresti avvengono negli ospedali e che il regime ha bloccato le sacche di sangue per le trasfusioni, il presidente siriano dichiara:”I manifestanti sono germi che si diffondono è necessario fare pulizia”.

Le vittime stimate sono più di seimila. Siamo sull’orlo di una guerra civile in grado di innescare una polveriera di rara pericolosità potenziata dai 47 gruppi etnici religiosi presenti nel paese.

Il mondo guarda con sgomento e non interviene: l’immobilità della NATO dimostra l’interesse economico che ha spinto all’intervento in nord africa. L’ONU (alla quale la Siria fa parte dal 1945) non interviene per le discutibili regole interne che consentono al veto della Russia e della Cina di bocciare la risoluzione che avrebbe chiesto le dimissioni del presidente.

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