Tunisia: La fine di Chokri Belaid e la ricerca di una via “tunisina” all’islam

Chokri Belaid

La fine di Chokri Belaid

Venerdì 8 febbraio si è svolto il funerale di Chokri Belaid, politico e avvocato tunisino, nel paese d’origine dei suoi genitori Djebel Jelloud. Il corteo con in testa una camionetta militare scoperta, che trasportava i parenti della vittima e il feretro, ha accompagnato quello che è ormai diventato un martire nel suo ultimo viaggio verso il cimitero di Djellaz. Chokri Belaid è stato ucciso mercoledì con quattro colpi di pistola, in un agguato davanti alla sua casa di Tunisi. Ieri il fratello della vittima ha indicato il partito di governo, Ennahda, e l’attuale premier Hamadi al Jebali come uno dei mandanti dell’omicidio. L’ex leader dell’opposizione filo democratica, in senso più propriamente liberale, senza però rinunciare ad un vasto impegno nelle politiche per il miglioramento del welfare, è stato considerato fin dalla fine della rivoluzione dei Gelsomini (2010-2011) la vera alternativa ad Ennahda. Il tentativo del partito di maggioranza di accentrare il potere delle istituzioni nelle proprie mani, si è reso sempre più visibile nella repressione esercitata sulle opposizioni. L’omicidio di Chokri Belaid non è altro che l’ultimo evidente atto di un processo di raggruppamento del potere.

Il premier Hamadi al Jebali respinge le accuse con forza promettendo alla famiglia della vittima che saranno trovati presto i responsabili dell’accaduto. “Questo omicidio ha come obiettivo la sicurezza e la stabilità del Paese” ha dichiarato il capo del partito maggioritario puntando il dito contro le frange più estreme di “rivoltosi”.

La posizione del partito Ennahda

In realtà il partito definito “islamico moderato” chiamato Ennahda, che fa riferimento all’ideologia politica del pensatore egiziano Sayyid Qutb (che rifiutò l’imposizione del governo tramite la forza preferendo l’introduzione di riforme basate sulle esigenze quotidiane, ciò che noi chiameremmo oggi una politica attenta al welfare state) tende sempre di più verso il fronte salafita che sta guadagnando terreno nel sud del paese. Il mantenimento di una linea “moderata” che punti ad un dialogo con le vecchie partnership economiche, intrattenute con diversi colossi industriali dell’occidente, diventa sempre più complesso. Da un lato le forze cosiddette islamiste, in particolare il fronte salafita, premono per un introduzione totale della sharia all’interno della costituzione. Dall’altra le forze filo democratiche dell’islam, ancor più moderato, cercano di trovare una soluzione che non permetta la cristallizzazione delle cariche pubbliche e l’accentramento del potere decisionale nelle mani del partito di maggioranza.

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belaid-funeral-rage-unrest-tunisiaIl problema dell’islamizzazione

Quello che è stato descritto da alcune testate giornalistiche come un problema di maggiore o minore “islamizzazione” del paese, è in realtà una questione legata soprattutto alla forte gestione del potere da parte di un unico ente, che non si sta preoccupando di trovare la famigerata via “tunisina all’islam”, come recitava lo slogan di Ennahda durante la rivoluzione che diede inizio alla stagione della Primavera Araba. L’occupazione di diverse cariche pubbliche da parte dei membri del partito ha reso ancora più traballanti le istituzioni post-rivoluzionarie, condannando il paese all’instabilità, culminata con una stagione di forte repressione politica. Il corteo riunito a Djebel Jelloud ha chiesto più volte le dimissioni di Hamadi al Jebali e nella stessa giornata di venerdì un enorme sciopero generale ha paralizzato l’intera nazione. Il premier si dice contrario alla preparazione di un governo tecnico che possa guidare il paese verso nuove elezioni. Il partito di Ennahda godrebbe ancora della maggioranza assoluta come è stato in passato? Le opposizioni dubitano fortemente di ciò, le accuse d’omicidio pesano fortemente sulle possibilità del governo d’uscire vincitore delle eventuali nuove elezioni. I manifestanti hanno anche chiesto più volte a Rachid Ammar, capo delle forze armate tunisine, di prendere il potere e destituire il governo. Ammar è diventato uno dei simboli della Rivoluzione dei Gelsomini quando si rifiutò di schierare l’esercito contro la popolazione in rivolta, incappando nell’ira dell’ex dittatore Ben Ali.

Gli scontri in Tunisia continuano

Intanto le proteste continuano in tutto il paese, la polizia sta cercando di contenere i manifestanti facendo ricorso ad ogni mezzo. Si contano già centinaia di arresti e altrettanti assalti alle sedi di partito. Hamadi al Jebali continua a denunciare “l’atto terroristico che ha buttato il paese nel caos” declinando ogni responsabilità sull’accaduto. Una contro-manifestazione, decisamente più esile, si è svolta sabato nella piazza di Tunisi, in cui i rappresentanti del partito di maggioranza hanno espresso la propria vicinanza al premier. La volontà di far tacere la voce di Chokri Belaid è sempre stata fin troppo evidente. L’esercizio del potere da parte di Ennahda oscilla tra il tentativo di restituire stabilità alle istituzioni, accentrando nelle proprie mani una forte influenza sulla totalità delle stesse, e il tentativo d’intavolare un dialogo sia verso occidente, in particolare con l’ex padrone coloniale francese, che verso le frange più legate al salafismo del sud del paese. Questa specie di “trasformismo”, che dovrebbe trovare una via d’emancipazione islamica propria della nuova Tunisia post rivoluzionaria, ha costretto con una violenta repressione le opposizioni al silenzio, almeno fin quando la situazione non è degenerata con l’omicidio di mercoledì. L’impossibilità di far fronte alle grandi difficoltà sociali che il paese sta attraversando, fu più volte sottolineata dallo stesso Chokri Belaid.

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I punti deboli del partito Ennahda

La linea politica di Ennahda, dopo le grandi promesse della rivoluzione, si sta rivelando un fallimento a causa della sua vocazione a distribuire il potere solo tra i membri di partito. Un possibile parallelo è fornito dall’attuale Egitto di Morsi che, dopo un inizio di governo assolutamente promettente, ha  messo a punto un colpo di mano con la quale la fratellanza musulmana ha potuto ridistribuire il potere fra i suoi simpatizzanti. La problematica della stabilità dei paesi coinvolti nella Primavera Araba si fa sempre più centrale sul piano internazionale. Il post rivoluzione è incerto e le contestazioni interne sull’operato dell’esercito e dei partiti maggioritari (come è stato evidente nelle vicende egiziane ed ora in quelle tunisine) non accennano a fermarsi. I numerosi tentativi di produrre una politica largamente condivisa dalla maggioranza della popolazione si sono infranti contro la volontà dei singoli partiti di acquisire un potere elitario all’interno dei nuovi equilibri di potere.

L’azione mediatrice

Provando a consolidare la propria posizione internazionale Ennahda, proprio come ha tentato di fare Morsi durante la crisi mediorientale dell’assedio di Gaza, vuole acquisire legittimità agli occhi dei grandi partner commerciali stranieri. Il partito è convinto che mediando tra il fronte salafita e le ingenti risorse economiche estere, il paese potrà ricominciare a far crescere il benessere della popolazione. La forte repressione interna esercitata sulle opposizioni, le cui notizie sono state a lungo silenziate, non è altro che una delle conseguenze di una politica di facciata volta a mostrare all’occidente solo il lato diplomatico e “moderato” del partito.

In realtà Ennahda ha totalmente ignorato le richieste d’aiuto della popolazione stremata da una situazione socio-lavorativa insostenibile. Il paese deve tornare a crescere economicamente senza doversi proteggere da un improvviso accentramento del potere da parte di un unico ente. Una politica che punti alla ricostruzione della rete sociale dal basso cercando di rispecchiare le reali richieste del paese, come il defunto leader d’opposizione ha più volte sottolineato, sarebbe decisamente più auspicabile dell’attuale tendenza ad un esercizio del potere in maniera elitaria e dispotica.

La Tunisia con la morte di Chokri Belaid piange un valido leader d’opposizione, ma oltre che verso la disperazione, lo sguardo dei manifestanti è rivolto al futuro, ad eventuali elezioni anticipate o a nuove prospettive per costruire un paese più equo, dove trovare davvero la tanto inneggiata “via tunisina all’islam”. Serve una reale ottica di autodeterminazione dettata davvero dalla popolazione stessa. Grandi partnership e colossi industriali esteri permettendo.

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