Siria: un cappio che si stringe per gli Assad

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Lunedì scorso sono state ufficialmente approvate le nuove sanzioni UE contro le aziende siriane, compresa la “Syrian Europe Airlines”. L’embargo delle nazioni unite si fa sempre più duro contro il regime di Assad che è ormai in evidente difficoltà. Inoltre la tensione con la vicina Turchia, che non fa mistero del suo pieno appoggio agli insorti, è in costante aumento. Dopo i diversi episodi di colpi di mortaio, sparati dall’esercito siriano oltre confine, è arrivato lo sdegno di Ankara, che nel frattempo stava già organizzandosi per accogliere migliaia di profughi siriani.

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Questi attacchi dell’esercito di Assad hanno fornito alla Turchia il pretesto per intervenire con aerei di ricognizione ed embarghi, facendo diventare il proprio territorio una totale “no fly zone” per tutti gli aerei siriani (anche quelli di linea). La tensione è alle stelle e l’UE è tutta a favore di Ankara, che sta valutando una vera e propria “risposta al fuoco”. Le scuse di Assad in persona non sono bastate. L’espediente è stato trovato e i giochi sono ormai troppo pericolosi per poter essere frenati di botto. L’embargo UE sta mettendo a dura prova i siriani e il cappio si stringe sempre più attorno al collo del presidente. La vecchia rete di alleanze che sorreggeva l’impero alauita degli Assad sta lentamente per svanire. Una domanda sorge spontanea: come ha fatto il regime a resistere fino ad ora? Come è possibile che gli embarghi non siano stati sufficienti? Per ricostruire la complessa rete di alleanze, che ha permesso ad Assad un così ampio margine di manovra, bisogna riesumare il colosso deceduto dell’Urss.

Negli anni sessanta nel Medio Oriente imperava la visione pan-arabista di Nasser, con il suo convinto terzomondismo contrapposto alle due super potenze, mentre Usa e Urss si affrontavano a colpi di influenze ed alleanze in quella che è sempre stata una delle zone più strategiche e complesse del mondo. Il partito socialista arabo “Bat’h”, nato in Siria nel 1940, venne enormemente appoggiato nella sua ascesa al potere dalla Russia, che voleva in tal modo prendere il controllo dell’area. L’Iraq di Saddam Hussein e la Siria di Bashar sono state per anni sovvenzionate da armi e speciali patti commerciali con il colosso sovietico. Non è un caso che tutte le armi dell’attuale regime Siriano siano russe ( ad esempio le famose bombe a grappolo ) e che gli stessi ribelli utilizzino kalashnikov e artiglieria pesante dell’ex unione sovietica.

La Siria è sempre stata un raccordo fondamentale per gli equilibri mediorientali. Ha mitigato per anni le tensioni tra il governo Iraniano post rivoluzionario e l’Iraq di Saddam. Tutto questo è stato possibile per la particolare posizione della famiglia Assad. Essi rappresentano la minoranza alauita siriana ( seguaci di Ali genero del Profeta ) e quindi sono molto vicini alle posizioni sciite del ex regime Komeinista e dell’attuale Ahmadinejad. Allo stesso tempo Bashar faceva parte del Bat’h e intratteneva diversi rapporti commerciali con l’Iraq. Questo sodalizio tra i tre paesi era talmente ben orchestrato da essere stato ironicamente rinominato dagli statunitensi il “triangolo del male”.

Quando l’Iraq è stato invaso, questo equilibrio è venuto meno, ma gli aiuti russi non sono mancati e il regime di Assad è andato avanti anche grazie all’appoggio Iraniano. Al nascere delle prime contestazioni interne, dopo la rivoluzione egiziana di piazza Tahrir, Bashar ha potuto reprimere con forza ogni assalto degli insorti, sicuro di poter contare sul saldo veto di Russia e Cina contro un eventuale intervento per fermare la carneficina. L’espansione degli interessi statunitensi sul territorio iracheno e la politica aggressiva di Netanyahu, principale alleato del colosso occidentale, hanno spinto Russia e Cina sulla difensiva, nel disperato tentativo di fermare l’inesorabile decomposizione della loro rete d’influenza. L’enorme calderone di nuove energie ed idee esploso con la primavera araba ha rivoluzionato l’intero scenario rendendo i salafiti più audaci, la Fratellanza Mussulmana più convinta della santità del proprio operato e il fronte palestinese decisamente più unito.

I veti della Russia non basteranno per proteggere Bashar. Gli insorti, una grande fetta dei quali fa parte della Fratellanza Mussulmana, sono aiutati dalla Turchia. Erdogan, l’attuale premier turco, è già riuscito nel suo intento di creare una fascia cuscinetto al confine siriano, che permetta ai ribelli di organizzarsi e ai profughi di fuggire dal paese. Un esodo di migliaia di persone in fuga si è riversato in Libano, Giordania, Iran, Egitto, Iraq e Turchia. Moltissimi palestinesi si erano rifugiati in Siria dopo la guerra dei “Sei giorni” del 1967 ed ora con i bombardamenti a tappeto, in cui vengono utilizzate le micidiali bombe a grappolo sui centri abitati, si trovano costretti a cambiare stato. La situazione si fa sempre più complessa e il numero delle vittime sale vertiginosamente.

La minoranza cristiana ha fatto appello al papa che ha appena inviato una delegazione vaticana a Damasco per contrattare la fine delle ostilità interne. Bashar continua i bombardamenti a tappeto per intimidire i ribelli, ma ormai anche Aleppo, la vera capitale economica del paese, non è più completamente sotto il suo controllo. L’unica cosa che impedisce ad Assad di cadere rovinosamente sono le sovvenzioni e gli interessi Russi nel paese, oltre al il violento ostruzionismo con la quale Putin e Medvedev si scagliano contro la volontà d’intervenire dei paesi NATO. La Turchia, in quanto paese di confine del patto militare, gioca un ruolo di primo piano nello scacchiere. La maggioranza sunnita vuole eliminare per sempre l’impero degli Assad voluto dall’influenza russa e aiutato da l’Iran post komeinista.

Vengono ancora una volta a scontrarsi due concezioni diametralmente opposte di Islam e di politica. Bashar al Assad utilizza l’islam come legittimazione del suo potere egemonico e come mezzo per ottenere importanti alleanze, come è stato con L’Iran di Ahmadinejad. Invece, pur sembrando due ideologie diametralmente opposte, la laicissima Turchia, grazie a Kemal Ataturk, simpatizza molto di più con ideologie che arrivano dall’islam moderato o addirittura dalla Fratellanza Mussulmana. Questo perché sia la concezione dell’Islam della maggior parte dei turchi, che quella dell’ala moderata della Fratellanza Mussulmana, credono in una religione basata su principi morali che si traducono in valori laici e giuridici solo in un secondo momento. Questi criteri non vengono cristallizzati immediatamente in leggi composte unicamente per il puro bisogno di affermare la propria identità culturale. Vengono invece trattate e discusse più volte con la comunità stessa e quindi filtrate dalla sensibilità della “Umma”. Questo permette un riadattamento delle norme a seconda dei bisogni reali del gruppo con un particolare occhio verso le fasce più esposte a rischi.

Quindi vi è una forte attenzione verso un buon “welfare state” e si punta molto sul supporto popolare piuttosto che sull’imposizione autoritaria delle norme. I ribelli parlano di “Democrazia islamica” contro l’egemonia degli Assad. La loro ideologia è figlia della “primavera araba” che ha sconvolto le legittimazioni dei maggiori regimi autoritari del Medio Oriente. La parola d’ordine è autodeterminazione. I ribelli siriani puntano a riprendere in mano le redini del proprio destino, ma in uno scacchiere così complesso non è affatto cosa semplice. La Turchia preme per un intervento militare, la NATO tentenna a causa dei veti russi e cinesi, mentre Ahmadinejad fa sentire la sua silente influenza a sostegno degli Assad.

Gli insorti continuano la loro avanzata, ma le loro armi sono inadatte a fronteggiare l’esercito regolare. Basterà l’appoggio turco? Si riuscirà a trovare un modo di supportare le truppe a distanza? O l’occasione di dare il colpo di grazia all’ultima roccaforte russa in Medio Oriente, sarà troppo ghiotta per evitare un’invasione militare in forze della NATO? Putin ha già dichiarato pubblicamente che è pronto a dar battaglia.

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