Il massacro delle tigri in Asia

massacro delle tigri

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Le tigri  a rischio di estinzione entro il 2022

Se andiamo a ritroso nel tempo, agli inizi del secolo XX, e guardiamo ai numeri stilati dal censimento allora fatto degli esemplari di tigri presenti sulla superficie terrestre, si vedrà che la cifra si aggirava attorno ai 100.000. Dal 2000 ad oggi se ne contano appena 3.200. Una riduzione drastica che le statistiche guardano con negatività e avvisano che molto probabilmente il numero sia destinato a scendere ancora fino al 2022, anno in cui si prevede la completa estinzione delle tigri. Bene, questo può ancora essere evitato, se si cambia l’atteggiamento dell’opinione pubblica: siamo abituati infatti a pensare che il nostro mondo finisca dove l’occhio riesce ad arrivare, siamo figli del progresso ma in questo siamo uguali ai nostri avi che non possedevano accessi Internet illimitati, smartphone o computer di ultima generazione, finestre sul mondo che molto spesso vengono aperte solo per dare una sbirciata a ciò che può interessarci da vicino.

Il mercato nero asiatico sta facendo il massacro delle tigri

Ma la dura verità è questa: le tigri, presenti nel territorio asiatico (il loro habitat naturale è la foresta pluviale,eccezion fatta per alcune sottospecie, quindi si capisce il perché della loro concentrazione in alcune zone del continente) si stanno estinguendo. Solo se si da un’occhiata alla pagina di Wikipedia che parla dell’animale, si vedranno quante sottospecie si sono già estinte nel corso dei secoli. Questo perché i paesi in cui la tigre si è trovata ad abitare (India,Bangladesh, Vietnam,Laos, Tailandia) sono fortemente interessati al traffico di varie parti del corpo del felino, largamente richiesti nel mercato nero asiatico. Sono soprattutto i cinesi a farne richiesta.

Chi si batte per le tigri?

Ma la pratica più barbara e diffusa è quella dello scuoiamento e della vendita delle pelli come preziosi oggetti d’arredo per ricchi collezionisti di chissà quale etnia. Il WWF ha lanciato un appello disperato, insieme a TRAFFIC (network che si occupa di monitorare il commercio di natura selvatica) , chiamando la campagna Reduced to skin and bones. Durante il mese di marzo la collaborazione ha presentato i risultati dell’analisi della situazione della tigre dal 2000 al 2012, durante la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione di flora e fauna selvatiche (Cites) a Bangkok.
È venuto fuori che dai 13 paesi in cui la tigre pare risiedere, solo l’India registra i sequestri che avvengono, mentre negli altri sono portati avanti al buio, senza lasciare tracce. Questo macabro registro di attività ha però permesso almeno la distinzione delle zone più “calde” per la caccia alla tigre, così da poterle delineare e monitorare con più attenzione (tra queste spicca al zona nei dintorni di Delhi, la capitale).I vari network che hanno provato a portare all’attenzione dell’opinione pubblica la strage dei felini, hanno mostrato anche le atroci pratiche della caccia in sé. Le trappole in cui restano bloccate le zampe, che hanno una morsa stretta e rapida, rendono impossibile qualsiasi movimento dell’animale che a volte può restare per ore, agonizzante, aspettando che i bracconieri tornino per completare l’opera.

La fotografa e osservatrice della fauna selvaggia Belinda Wright (direttore esecutivo della “Wildlife Protecion Society of India) ha collaborato con National Gegraphic e il suo team per la realizzazione di un importante quanto interessante documentario sul traffico illegale della pelle e delle parti dello scheletro delle tigri, mossa dallo stupore di sapere quanto poco fosse noto quello che succede nei mercati asiatici.

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