Riconoscere Budapest nel 2014

budapest nel 2014

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Tornare a Budapest nel 2014

«Che ci faccio io qui?». No, forse dovrei dire: «Cosa ci facevo io qui nel lontano 1990? Cosa ci ero venuto a fare?».
Qui è Budapest, adesso, gennaio 2014. Non è una sensazione di smarrimento quella che mi porta a riesumare il vecchio adagio di Bruce Chatwin. È il suo esatto contrario: cosa sono venuto a fare? Tre giorni di vacanza low cost, un’ora e mezza di volo da Roma ed eccomi nella capitale ungherese. Strade del centro vuote in un pomeriggio nemmeno poi così freddo. Un susseguirsi monotono di insegne delle principali marche internazionali di abbigliamento. Tutto già visto a Praga, ma, in fondo, anche a Roma.

Un quarto di secolo. Tanto è passato da quel giorno di agosto in cui ero arrivato a Budapest in treno da Vienna. Inter-rail post maturità, un giro nell’Europa dell’Est che usciva dal socialismo reale. Ecco cosa ero venuto a fare allora: a vedere la Storia. Che era affascinante ma anche un po’ spaventosa. Quella Budapest 1990 rimane forse la cosa più simile alla Napoli 1944 narrata da Curzio Malaparte nella Pelle che io abbia mai visto.

E l’arrivo nella vecchia ed enorme stazione, i treni affollatissimi, lenti e sporchi, diretti a Bucuresti e Sofia. Facce per niente da liberazione, allora. Si vendeva e si comprava di tutto, in quei giorni, per le strade. Gli zingari e i russi erano i re di questo mercato semiclandestino. Cambio in nero e cimeli dell’Armata Rossa di tutti i tipi. Per le strade alcuni palazzi avevano ancora o fori dei proiettili. Del 1945 o del 1956? Impossibile dirlo con certezza.

La cosa che mi aveva colpito di più, in quei giorni, era il Danubio. Molto più grande e maestoso che a Vienna. I viali in stile sovietico, i palazzoni color acciaio, le file, la mancanza pressoché totale di pubblicità. Era un passaggio di regime, di epoche, di culture. Noi, figli del capitalismo vincitore, eravamo in gita con zaino e sacco a pelo tra le macerie del Novecento. Un taxi costava 50 lire, con 10 mila lire cenavi a 5 stelle. Per dirla con molto cinismo, era una pacchia destinata a durare poco. Quella leggerezza con cui si poteva girare per la vecchia Europa nel 1990, sarebbe finita nello spazio di un paio di estati. Già nel 1992 i vecchi e boriosi anni Ottanta sarebbero stati liquidati dal governo Amato: crisi economica, spettro default, svalutazione della lira, prelievo forzoso, scontri in piazza e tanti saluti al decennio di plastica. Senza rimpianti, per carità. Ma nell’agosto 1990 l’illusione che dalla Guerra Fredda potessimo uscirne tutti vincitori c’era ancora. D’altra parte, era successo tutto molto in fretta. A settembre eravamo tornati a scuola con il mondo diviso in blocchi, a Natale non c’era manco più Ceausescu in Romania.

Più che conoscere i luoghi, dovremmo imparare a riconoscerli. Ed io, stavolta, ho fatto una grande fatica a riconoscere Budapest. Il vecchio ostello – allestito alla meno peggio in un palazzone di periferia – adesso si chiama Post Hotel. Non so quanti turisti siano disposti ad alloggiare così lontani dal centro. Tutti sembrano andare pazzi per le terme, pubblicizzate ovunque. Ma davvero abbiamo bisogno di spostarci di mille chilometri per un’ora di relax a buon prezzo? È ancora “viaggiare” questo, o è “fare shopping” altrove?

Quella ungherese sembra una globalizzazione riluttante. Le multinazionali hanno preso il sopravvento, ma tutto ciò che è pubblico mantiene una gelosa autarchia nella comunicazione. I negozianti sanno più o meno tutti l’inglese, ma le fermate nella metro sono soltanto in magiaro.
La Storia ora è nei musei, nelle visite guidate che provano a spiegare cosa fosse il terrore sotto l’occupazione nazista prima e con il regime comunista poi. Ma – appunto – è roba da museo. Il nome di Imre Nagy dice qualcosa agli italiani in vacanza? Ai ventenni senz’altro no, ma forse nemmeno ai cinquantenni.
Nero sole d’Ungheria: le colpe di Stalin sono le nostre colpe”, recita una poesia di Pier Paolo Pasolini dopo la rivolta del 1956. Rivolta? O rivoluzione? La città ricorda i martiri con targhe e monumenti, cosa ovviamente ancora impensabile 24 anni fa. Le guide ci tengono a precisare che adesso l’Ungheria fa parte dell’Unione europea e della Nato. Siamo a casa, insomma. Non è così, naturalmente. Ma se ci piace crederlo, a che serve allora viaggiare?

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