Bambini ‘zombie’: misterioso virus in Uganda

Pauline Oto ha tredici anni e vive con la madre, Grace Lagat, e il fratello, Thomas, in Uganda, paese africano già al centro dei dibattiti mondiali il mese scorso riguardanti Joseph Kony, capo di un tristemente famoso gruppo di guerriglieri. Ma la storia di Pauline, di Thomas e di più di altri 3000 bambini è, se possibile, ancora più terribile.

Al nord del paese, infatti, si sta propagando una malattia che riduce in ‘zombie’ i bambini di un’età compresa tra 1 e 19 anni, con alti picchi nella fascia 3-11 anni, come osservato dalla World Health Organization, che si sta occupando del caso da vicino. “Abbiamo bisogno di rafforzare la sorveglianza nelle comunità colpite in modo da essere in grado di identificare altri problemi gravi e conoscere meglio la grandezza del virus”, ha dichiarato recentemente il Dott. Abdinasir, capo della task force del WHO sul caso.

Quindi nulla di paranormale, ma purtroppo già dagli anni ’60 la triste realtà non solo per la popolazione ugandese, ma anche per quelle di Sudan, Namibia e Tanzania, i cui contagiati si stimano intorno ai tremila, mentre le morti accertate sono 200. L’unica differenza fra i casi più recenti e quelli degli scorsi decenni, verificatisi principalmente nelle regioni del Sudan e della Tanzania, è la sporadicità dei casi e la gravità dei sintomi, i quali ricordano ai medici l’epilessia, almeno durante quello che viene chiamato ‘primo stadio’.

La malattia è stata ribattezzata Nodding Disease proprio per questa ragione: gli attacchi fanno agitare ripetutamente il capo come se si annuisse (to nod= annuire), fino a veri scompensi della personalità, smarrimento, perdita di memoria, cambiamenti di umore e comportamenti violenti. Il cervello sembra arrestare il suo sviluppo, portando un ritardo mentale a chi ne è affetto, una sorta di alternanza tra stato vegetativo profondo e scatti d’ira improvvisa, cosa che costringe i genitori a ritirare i figli da scuola e a privarli di ogni tipo di indipendenza personale per tenerli al sicuro, proprio come fa Grace Lagat, la mamma di Pauline e Thomas, entrambi affetti dal virus.

Intervistata dall’emittente statunitense CNN, la signora confessa di dover legare i bambini in giardino quando va al lavoro, per impedirgli di fuggire via da casa, come già era successo in passato; per tutta risposta i bambini passano la giornata a rosicchiare le corde, a cercare di sopravvivere ai fortissimi attacchi che li assediano e a guardare le infermiere con occhi vuoti e smarriti, mentre queste, porgendogli una penna, gli chiedono di disegnare qualcosa sulle loro mani.

Purtroppo non è ancora stata trovata una cura. I dottori usano medicinali contro l’epilessia come palliativi, ma la reale causa della virus non è ancora stato scoperta, anche se ci sono molte ipotesi al vaglio. I dati riportano che nel 93% dei casi l’area di appartenenza del soggetto malato era la stessa del verme parassitario Onchocerca Volvulus, che è causa della cosiddetta river blindness, e di cui è portatrice la Mosca Nera. Inoltre altri motivi influenti potrebbero essere un deficit di vitamina B6 o la malnutrizione.

Comunque tutti questi dati non spiegherebbero perché solo una precisa fascia d’età ne è colpita, i bambini, e solo quelli circoscritti in un’area ben definita, cosa che dovrebbe far scartare l’ipotesi di una malattia virale e contagiosa. E poi perché queste ‘nuove’ e ‘strane’ malattie vedono la luce sempre in Africa, sfruttata senza ritegno da Paesi Occidentali e giunte locali? Purtroppo quello che per noi è semplicemente un problema lontano, etico o politico, per migliaia di persone è da troppo tempo diventata la dura realtà contro cui combattere ogni giorno, senza promessa o speranza di vittoria.

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