Accordo Hamas-Israele, è tregua per Gaza

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Sono ormai centinaia i morti nella striscia di Gaza dall’inizio dell’operazione “Pillar of defense”. Iniziata il 13 novembre, le batterie di razzi non si sono fermate per otto lunghi giorni. Il presidente egiziano Morsi ha inviato diversi rappresentanti e martedì si è recato di persona sul posto. La macchina diplomatica è stata messa in moto per ottenere un cessate il fuoco. Domenica il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon era al Cairo per discutere con la leadership egiziana. I ripetuti appelli delle nazioni unite, ad entrambe le parti, non sono ancora stati del tutto ascoltati. Netanyahu, primo ministro israeliano, dice che Israele è pronta a tutto pur di difendere i propri abitanti e che gli attacchi di Hamas non saranno più tollerati.

La paura si diffonde come uno strano morbo in tutte le città del sud. Era da ventun anni che non cadevano bombe su Tel Aviv e sulla stessa Gerusalemme. C’è chi già paragona lo scontro  all’attacco del 1973 condotto da Sadat durante la festa dello Iom Kippur. La reazione in forze d’Israele fa pensare ad un piano ben congeniato. Ahmed Jabari, capo militare di Hamas è stato la prima vittima del raid israeliano. La sua auto è stata fatta saltare in aria da un missile.  Appena iniziato l’attacco, sono immediatamente comparsi i primi tweet dell’esercito d’Israele che descrivevano la situazione e gli obbiettivi. La risposta telematica del movimento palestinese non si è fatta attendere. Assieme a diverse batterie di razzi, sono partiti ondate d’informazioni sulle cause e le dinamiche del conflitto, direttamente dalle due parti interessate.

Si combatte una guerra mediatica parallela a quella fatta di esplosivi e raid aerei. Questo avviene perché Gaza, da lungo tempo sotto assedio, dipende moltissimo dalla propria visibilità e dalla reale possibilità d’interagire con l’esterno, per farsi aiutare tramite O.N.G. ed enti internazionali di vario genere. Le manifestazioni in Cisgiordania per la fine delle violenze (un manifestante è stato ucciso durante gli scontri e diversi sono rimasti feriti), così come le richieste di sottoporre la questione palestinese all’ O.N.U., che discuterà l’argomento il mese prossimo (ma che nel frattempo ha già convocato il consiglio di sicurezza per ottenere una tregua ai bombardamenti), sono tutti modi per presentare il problema alla comunità internazionale.

Patto Hamas-Israele, tregua per Gaza

Alcune frange di Hamas hanno cambiato rotta nella loro battaglia contro Israele. Non avendo gli stessi mezzi militari di un esercito che in sei giorni fu in grado di sbaragliare le armate di tre stati, una parte del fronte palestinese punta verso una risoluzione più diplomatica del conflitto. Per poter ottenere ciò, i media diventano il campo di battaglia principale per poter indirizzare l’opinione pubblica a proprio favore. Netanyahu, che prima non godeva di un alto indice di gradimento, sta vedendo aumentare il consenso interno a Israele. Il presidente è visto come l’uomo giusto per la situazione drastica. Le elezioni si avvicinano e l’argomento sicurezza sarà decisamente determinate per i risultati finali. I riservisti sono già stati richiamati alle armi. Israele si prepara ad un invasione di terra. Alcune fonti dicono che sarebbero già avviati i preparativi per oltre tre settimane di guerra continua. Alcuni obbiettivi mediatici sono già stati acquisiti. Il media centre di Gaza City è stato raso al suolo e alcune antenne di radio locali sono state usate per diffondere avvertimenti alla popolazione. Hamas teme che si voglia isolare la zona dalla rete telematica. Avere il monopolio dell’informazione significherebbe poter gestire le operazioni militari senza dover rispondere in alcun modo alla comunità internazionale. L’associazione di pirati informatici detta “ANONIMUS” ha già fatto sapere che attaccherà i siti israeliani per impedire che ciò avvenga. L’importanza della rete d’informazioni è decisamente cruciale e potrebbe determinare un eventuale tregua o la totale disfatta di qualsiasi tentativo diplomatico di arrestare il conflitto.

Questo attacco alla striscia di Gaza è stato interpretato da molti come un modo per “far vedere i muscoli” d’Israele, che si sente più che mai minacciato dai radicali cambiamenti avvenuti, ed ancora in atto, nell’odierno Medio Oriente. L’ipotesi sembra essere confermata dal particolare ruolo che i paesi riformati, dal movimento di rivoluzione della scorsa primavera, stanno avendo all’interno degli scontri. In particolar modo l’Egitto del presidente Morsi che ha dichiarato, direttamente dalla striscia, alle 15:30 di martedì scorso: «L’aggressione israeliana a Gaza finirà oggi». Ciò era uno dei punti concordati con la delegazione di ministri musulmani riunitasi lunedì al Cairo e che si è poi trasferita, insieme a Ban Ki-Moon, al segretario generale della lega araba e al ministro degli esteri turco, a Gaza per chiedere una tregua. La sensibilità dei paesi mussulmani sulla questione è da sempre molto elevata, ma, ora che molti regimi storici sono crollati, la solidarietà con i palestinesi è ancora maggiore. Si vuole ottenere una totale liberazione dall’influenza straniera nell’area mediorientale.

La volontà di autodeterminarsi riecheggia ancora nelle menti di chi ha vissuto questa primavera come un’enorme opportunità di cambiamento. Ciò che lega Morsi all’ala moderata della fratellanza mussulmana lo fa apparire come l’uomo giusto per la svolta nel conflitto israelo-palestinese. Hamas lo ascolta e ha stima di lui (anche se stiamo parlando di un associazione non del tutto unita, al cui interno vi sono diverse faglie decisamente autonome) e la lega araba è più che fiduciosa che farà un buon lavoro. È lui il vero protagonista dell’azione diplomatica, insieme al (sembra quasi inutile dirlo) presidente Obama fresco di rielezione.

Il ruolo degli Stati Uniti all’interno del conflitto è sempre staro cruciale. «Israele ha il diritto di difendersi, ma adesso bisogna lavorare ad una tregua». Ha dichiarato Morsi subito i primo giorno di scontri. Il presidente si è molto distanziato dalle ultime scelte politiche del governo di Netanyahu. La solidarietà tra i due paesi ha decisamente visto momenti più rosei. Nonostante ciò il 57% degli americani, secondo un sondaggio realizzato dalla Cnn, approva l’attacco d’Israele. Obama sta cercando di mediare tra i due fronti, con l’essenziale aiuto del presidente egiziano Morsi, che però ha subito dichiarato che l’attacco è assolutamente inaccettabile.

L’opinione pubblica giocherà un ruolo determinante nelle sorti del conflitto. Come in un enorme e effetto domino, l’influenza politico-mediatica di ciascun paese coinvolto, direttamente o indirettamente nel conflitto, sarà fondamentale per il futuro di quello che è da sempre il nodo dello scacchiere mediorientale. Gli Assad fuori combattimento, il Libano in fermento, l’Egitto non ancora completamente assestato e Ahmadinejad che fa sentire un influenza solo silenziosa, fatta di armamenti e viveri, perché non più così immune alle violente contestazioni interne, sono gli scenari perfetti per un’azione militare di successo. L’assedio si fa sempre più stretto, gli ospedali meno attrezzati, i farmaci più rari, i contatti esterni diminuiscono, le reti internet vengono sospese, i volontari delle ONG estradati, i bombardamenti, sempre più mirati, destabilizzano le vie per i rifornimenti e i generi alimentari. Sempre più case spariscono per far posto a crateri e cumuli di macerie.

Hamas non ha mezzi per resistere ad un eventuale assalto di terra. Il clima della Cisgiordania e di tutto il nord di Israele fa presagire una possibile terza Intifada. Secondo molti esperti la risposta del fronte palestinese, oltre ai continui bombardamenti su tutte le città del sud, sarà data tramite diversi attentatori suicida nelle principali città israeliane (il kamikaze sull’autobus di Tel Aviv, ne è la conferma). Alla fine di mercoledì 21 novembre, dopo otto giorni di fuoco continuo, si è raggiunto il tanto desiderato “cease-fire”, grazie anche agli sforzi diplomatici del segretario di stato Hilary Clinton. L’Egitto di Morsi (l’accordo è avvenuto al Cairo) fa da garante in questa tregua. Ora si lavora ad un accordo tra le due parti. La partita è ancora molto aperta, anche se Il bilancio delle vittime ha già superato i 140 morti e molte centinaia di feriti.

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